2.1 - Origine del nome della Trezza
Aci Trezza, il nome di questo centro
urbano solletica la curiosità di non pochi studiosi storici ed appassionati
della materia, affezionati alla cultura antica ed all’indagine sul passato. La
denominazione del borgo costiero affonda le radici quasi certamente in epoca
tardomedievale, anche se – secondo alcuni autori – dovrebbe farsi risalire
necessariamente alla dominazione Romana.
In questa relazione viene trattato
il susseguirsi di ipotesi che lungo i decenni hanno coinvolto le energie di
diversi scrittori, per giungere sino a noi con un paniere di teorie, tutte chi
più chi meno plausibili ma nessuna – a nostro avviso – ancora adeguatamente
provata: non è facile risalire al seme originale del titolo di questo scaro, perché Trezza può voler
significare tante cose, o forse semplicemente la sinuosità e l’ispidità delle
rocce, degli scogli, dei faraglioni, che a molti pescatori avrebbe dovuto far
facilmente pensare ad una treccia, e quindi far appellare questo tratto di
costa in così onomatopeica guisa.
Ma veniamo alla trattazione: quali
sono gli altri modi per riferirsi ad Aci Trezza? La Trezza, ‘A Trizza oggi, ma in passato anche La Trissa, La Trizza, La Trecza, La Tricza, etc. E’ bene dunque
concentrarci sugli atti ufficiali (per lo più spagnoli), per formulare ipotesi che siano valide, non tralasciando
di gettare preliminarmente uno sguardo sulle teorie più fantasiose, che
tuttavia hanno fatto la storia della località.
2.2 - Congetture
“Una leggenda vuole che il nome di Acitrezza
derivi da latruzza. Chi era
costei? Era la proprietaria della antica posada che esisteva nel luogo dove ora è stanziata
Acitrezza. La notte quando i viandanti, che soggiornavano nella posada, dormivano li derubava. Da qui
"latruzza". Appare difficile che il nome del paese provenga da questo
e ancor più difficile che tale fatto sia veramente accaduto.”[1]
Ancora, se vogliamo, la radice semantica dei due termini è vistosamente
diversa, posto che, non solo abbiamo qui una “u” che in “Trezza” o “Trizza” non
troviamo, ma soprattutto l’articolo “la” non è congiunto col nome “Trezza”
(come in “latruzza”) per cui sarebbe senz’altro da accantonare: non esistono
atti – fra quelli in nostro possesso - in cui ci si riferisca alla località
come “Latrezza” et similia.
“Secondo padre De
Maria, parroco di Aci Trezza dal 1884 al 1928, il nome del paese deriverebbe
dall'intensa attività di fabbricazione di laterizi, suppellettili e oggetti di
terracotta che veniva esercitata nella zona.”[2]
A tal riguardo, Gaetano Cosimo Cacciola e Don
Salvatore Coco ci fanno notare come Don Salvatore De Maria usasse con
pervicacia la dizione “Acis Lateritia” o “Lateritia Acis”
per indicare la località, apponendo la presente dicitura sulle epigrafi di sua
produzione, benché non esistesse riscontro oggettivo.[3]
Lateritia, seppur non suffragato sufficientemente da prove, ha i
richiesti requisiti semantici per avvicinarsi alla possibilità: è da precisare
però, che se così fosse l’origine sarebbe senz’altro latina, ebbene sarebbero
stati i romani ad attribuire questo nome (pertinente alla produzione in
terracotta) alla località venti secoli orsono. Ci si domanda: con quale forza
questo appello sarebbe rimasto sino ai giorni nostri che non fosse in vero l’interpretazione
creativa del De Maria?
Ad ogni modo, forte di questa convinzione il presente
latinismo ancora campeggia sui marmi della Chiesa di San Giovanni Battista di
Acitrezza e nei suoi appunti e memoriali.
Salvatore Raccuglia esita la sua congettura, e - nella sua monografia dedicata a Trezza
Storia-Critica-Archeologia[4]
– afferma che il nome debba derivare dai “Tre
Pizza”, i tre faraglioni che simboleggiano l’intera Aci, dominano la costa
di Trezza e sbalordiscono visitatori d’ogni tempo (si ricordino gli Scopuli Tres di Plinio). L’ipotesi di
Raccuglia avrebbe dovuto subire una abbreviazione a contrazione per
trasformarsi in Tre(Pi)zza, quindi Tre.zza, formula usata nel
medioevo adoperando la prima e l’ultima sillaba dei termini per risparmiare il
prezioso foglio di scrittura (o l’inchiostro del costoso scriba!).
Non esistono ostacoli insormontabili all’ipotesi di
Raccuglia, valida nell’idea, ma anche questa non è supportata da prove
costituite: l’imponenza degli Scopuli
ha sicuramente impressionato i visitatori e gli abitanti più della fabbrica di
mattoni o dell’argilla, per ciò non ci sentiamo di escluderla a priori: da tempi antichi la costa è
stata visitata, e sarà stato necessario attribuirgli un identificativo.
E, dopo le prime dette tre analisi, veniamo alle ipotesi
più leggere, meno cariche di artifici ed espedienti, di altrettanto numero, ma
di più esigua portata:
1)
La Trazzera o Trizzera di Aci. Il termine in lingua locale ha il significato di
via solitaria, scorciatoia, tratturo o tracciato per la campagna, per il
passaggio di animali, carri, uomini. Il termine è tutto sommato recente, non
più di uno o due secoli. Sebbene fosse usato principalmente per indicare
collegamenti di campagna, qui farebbe richiamo ad una scorciatoia per il
collegamento del Castello di Aci con Aquilia, ma, fatta eccezione della prassi
secondo cui “il titolo della via dà il nome al luogo” non esisterebbero dati
certi.
2)
La Treccia dei
pescatori, rete tessuta dagli abitanti del luogo ed adoperata per la pesca,
colorata di porpora per confondersi col fondale marino, e primario fra gli
strumentari di lavoro dei marittimi. Se semanticamente non fa una piega,
nell’idea lascia perplessi.
3) La Treccia dei
faraglioni, disposizione ordinata dei grossi scogli della costa a formare un
arco (la geologia ci dice che in origine, nella fase eruttiva subacquea, il
complesso doveva essere un unico costone di basalto, poi spezzato nelle decine
di millenni dall’erosione, sino ad assumere l’attuale aspetto), che da spesso
si fa sempre più sottile (presso i c.d. faraghiuneddi). Gli elementi teorici
sono sufficientemente validi, e ciò sia che ci si riferisse
a) ai Faraglioni nel
loro complesso (l'Isola
Lachea, la Longa, il Faraglione grande, quello di mezzo, il Faraglione piccolo
e, fra gli ultimi due, gli scogli "du Zu Ianu", chiamati
"Zu Ianu di terra" e "Zu Ianu di fora", i
“faragghiuneddi”);
b)
all’ispidità della
frastagliata costa, con le sue cale e insenature, sito considerato in senso ancor più lato (da Capo Mulini
sino ad Aci Castello);
c)
agli scogli
intrecciati nei disegni cordiformi delle lave basaltiche colonnari, in senso stretto, e ciò tanto se ci si vuol riferire con un paragone alla treccia delle funi, dei capelli, o di un particolare taglio della carne (così a voler individuare tre subteorie di questa già di per sé apprezzabile ipotesi, preferita e
condivisa nella sua portata generale).
2.3 - Fatti storici
Su questo ultimo punto (numero 3, lettera c)
esisterebbe, orbene, un riferimento che suscita in particolar modo la nostra
riflessione, e riteniamo meritevole di sviluppo: si tratta di uno scoglio dalle
fattezze mirabili, intrecciato come non mai di colonne e corde basaltiche
poliedriche, un riccio di roccia che si sviluppa a raggiera per tutta la sua
estensione, di forma allungata circa sette metri, largo quattro, alto circa due
sul livello del mare; una formazione che ha sconvolto pure Jean-Pierre
Houël[5] nel suo viaggio pittoresco in Sicilia, Malta e Lipari,
tanto da doverlo rappresentare in una famosa pittura del 1776 denominata “Écueil de basalte au port de la Trizza (un des
écueils de Cyclopes)”[6].
Per questo motivo non sarebbe raro trovare contratti enfiteutici
di matrice spagnola nel XVI secolo ove si dispone del tratto di mare dei
Faraglioni, individuando uno scoglio detto “La
Trecza”. E proprio con questa dizione se ne ritrovano esempi riportatici da
Saro Bella, che così ci dice: “L’imposizione baronale aveva preso di mira, già nel tardo Quattrocento,
tutti i luoghi rivieraschi imponendo la gabella delle pietre da pescare, successivamente ereditata dalle secrezie
acesi che periodicamente ne appaltavano l’esazione. Ne abbiamo un esempio di
fine Cinquecento:
Petre di
piscare
Item socto
nome della gabella delle petre di piscare tene la R.C. (Regia Corte) certi
scogli e gurni in le marine di detta terra e territorio unde li pisci
concurrunu e maximamente li sarpi in le quali non si ci può piscare altro si
non le persone che quelle gabellano socto pena di tarì secti e grana deci. (La
gabella) quest’anno è gabellata per l’affittatore Lazzari per onze quattro.
Per limitarci a Trezza, soggette alla gabella delle Petre di Piscare erano: Pietra Laterizia ò vero
Trizza. La pietra chiamata la Trizza volgarmente, propriamente laterizia, è
posta in mare discosta dalla ripa da passi 20 e distante dalla precedente da un
miglio. Pietra Spinosa. La pietra detta spinosa è un scoglio in mare discosto
dalla ripa circa passi 100 e distante dalla sudetta circa passi 60. Pietra
detta Longa. La pietra detta longa è un scoglio a mare distante dalla ripa da
passi 60 e dell’isola grande uno dei tre faraglioni circa passi otto e dalla
precedente consimile distanza. Pietra detta Mangiagli. La pietra chiamata
Mangiagli è un scoglio in mare distante dalla ripa circa dieci passi e dalla
precedente passi 60.”[7]
Il passaggio ora riportato non
lascia dubbi: lo scoglio Trizza dà
il nome alla località. Che il Bella sottolinea che il termine proprio sia laterizia per omaggiare il De Maria? Che
Laterizia è la sostanza argillosa sul fondale marino presso l’omonimo scoglio?
O che lo scoglio Trizza fosse così chiamato perché ricorda semplicemente una
pietra intrecciata? E che la forma dello scoglio dà il nome alla Petra da Pescare ed all’intera zona? Ci
viene in aiuto allora la frase di Arthur Bloch del 1977: “Una volta che si
saranno esaurite senza successo tutte le possibilità, ci sarà una soluzione,
semplice e ovvia, che salterà immediatamente all'occhio di chiunque altro.”[8]
Le fonti si riferiscono allo scoglio
costiero (20 passi dalla ripa) non già come laterizia, ma come senz’altro Tricza, una dizione che oggi
pronunceremmo per forza di cose come Treccia o Trezza. Per l’appunto, un Memoriale delle componenti umane,
economiche, spirituali e materiali del monastero di S. Benedetto di Catania compilato
dalla badessa Elisabetta Statella il 22 novembre del 1583 afferma che tra le
proprietà del Monastero trovava posto una tenuta, in cui esisteva anche un “dammuso, confinante a tramontana con le
terre del magnifico Gaspare Riccheri, a ponente con la tenuta una volta
posseduta da Nicola Caropipi e con il mare iuxta la dicta Tricza dalla quale il
convento traeva «... della tenuta della Tricza - formento 5 et pio lino sottili
pisi quattro...».”[9]
Lo scoglio Trizza, o meglio la Petra Tricza (il
sostantivo “pietra” anzicchè “scoglio” è preferibile, in quanto ci si riferisce
alla Trizza con accezione femminile), congiunta oggi con la terra ferma,
sfregiata, martellata, spianata, occultata, depauperata, coperta di cemento,
privata della sua originaria bellezza e del suo pregio, misconosciuta, esiste
ancora alla base dello Scalo di alaggio di Acitrezza, basamento di un molo
peschereccio, tra i primissimi della località, che, da qualche foto più antica,
è possibile ravvisare nella sua originaria fattezza; oggi “invisibile” a chi –
purtroppo – non conosce la Storia dei nostri luoghi, la Cultura della nostra terra,
i fasti del nostro passato.
2.4 – Aterium
La nostra indagine trova un
intricato nodo da sciogliere di fronte ad un passo degli Atti della Reale
Accademia di Archeologia di Napoli, riportato come segue: “Aterium (‘Aτεριον). Dal
solo Stefano Bizantino conosciamo questa città[10],
o piuttosto grossa borgata dell'isola, di oscuro nome, come d'ignota
situazione. Ma siccome i Romani mons ater nominarono la
montagna dell'Africa nella piccola Sirti, così della dalla sua nera apparenza,
perchè parve loro come arsa dal sole[11] non è da pensare, io credo, ad un'etimologia
diversa per questo sconosciuto luogo della Sicilia, con la differenza che se
quella montagna, ora detta Harusch[12], o Monte nero, si vede naturalmente spoglia di vegetazione, l’Aterio
dell'isola ebbe così a nominarsi dalla atre, o nere lave dell'Etna, presso cui cominciò ad abitarsi; e per tale
semplicissima e natural congettura, alla quale fa meraviglia che non si è
pensato da verun topografo, ad altro luogo non dubito che accenni, che alla
borgata di Trizza o Trezza rimpetto i famosi scogli de'
Ciclopi, su' quali Virgilio immaginava abbandonato Achemenide, l'infelice
compagno di Ulisse[13].
La borgata di Trezza si vede fondata sulle lave basaltiche del vulcano, le
quali come ne' detti scogli circondano anche i monti all'intorno; e siccome
creder si possono probabilmente quelle ch'eruttate dall'Etna sino al mare,
impedirono all'esercito Cartaginese comandato da Imilcone[14]
di unirsi alla flotta presso Taormina, così che fu costretto a girar lungo
tratto intorno le falde del monte nell'OI. XCVI[15],
396 a. C, egli sembra che la borgata di Aterio fu cominciata ad abitare in un
tempo posteriore, e probabilmente quando l'isola era già in potestà de' Romani,
come dal nome derivativo latino, anziché greco, della stessa borgata può supporsi,
benché anche dal greco derivasse ater,
cioè da αιδω, ardere e bruciare; e da Aterium si può
ben credere che provenisse l'alterato nome Atrezza, o Trezza.”[16]
L'opera geografica citata di Stefano Bizantino[17]
è l'Etnika. Ater, Atris, Atrum in latino è una aggettivo della prima classe che
riporta come primo significato "scuro" o "nero", cosa che
potrebbe aver a che fare col colore del basalto (arso).
Cercando quale distorsione potesse condurre da Ater ad Aterium non se ne trovano di significative, ed ogni tentativo
esperito conduce sempre al termine "nero" con una accezione di
profondità, quindi "oscuro"; ciò forse a voler significare la zona
ove la roccia fosse "la più nera" o "la più scura" (l’Aterio dell’Isola) ma in tal caso il
latino classico opterebbe per la forma "atrior" o "atrius",
e non aterior, aterius o aterium.
Se Aterium
fosse il nome di una località, il passaggio ad Ateritia è breve nel voler indicare qualcosa appartenente ad
Aterium. Così: per dire la pietra (intesa magari come grosso scoglio) di Aterium si potrebbe dire sia "Petra Ateriis" che "Petra Ateritia", cioé pietra
pertinente ad Aterium.
Certo, letto o pronunciato velocemente, magari tramandato
oralmente da gente che non sapeva scrivere e leggere, Aterizia (con un assorbimento della "e" e della
"i") può diventare Atriza; il Medioevo è pieno di questi fenomeni che
mutano parole latine (per il tramite del volgare) nelle parole italiane di uso
comune.
Questo passaggio di Nicola Norcia, come si colloca in
rapporto alle altre teorie?
Anche a voler identificare la nostra "Trizza"
con "Ateritia" o "Aterium" - ove l'unico punto in
comune è solo il colore della roccia ivi ubicata (che potrebbe a mio avviso
individuarsi anche in altre parti della costa catanese) - con estrema
difficoltà si trova una congiunzione con una delle congetture di nostra
conoscenza, come la "Laterizia"
del De Maria, circa la produzione o i rinvenimenti dei mattoni o dei
suppellettili.
Così discutendo, o il De Maria ha interpretato “Lateritia” un toponimo preesistente
(quale "Ateritia" appunto),
che ha voluto ricondurre alla presenza argillosa nello scaro, o, ipotesi meno
peregrina, la “Lateritia” di Salvatore
De Maria e la “Aterium” di Stefano
Bizantino non hanno nessuna connessione, e la suddetta considerazione è una
pura assonanza e coincidenza.
Il De Maria potrebbe essersi imbattuto in questo nome,
scritto da qualche parte o udito dalla gente locale, che fosse
"atrizza" o "aterizia", abbia quindi voluto ricondurre
questo suono a "Laterizia"
per dargli un significato a lui noto, oppure ingentilirlo? Al riguardo non può
che perpetrarsi la stessa riflessione già enunciata a suo tempo.
Per le altre ipotesi, come è chiaro, non può trovarsi
connessione su cui elaborare una valida argomentazione, per cui è da intendersi
la teoria di Aterium come nuova e a
sé stante. Può la Petra
Tricza essere la Petra Ateritia,
cioè lo scoglio di Aterium? Sembra in
verità più probabile l’ipotesi della roccia intrecciata di cui sopra, che sia
da individuare in uno degli scogli costieri di Aci Trezza, forse proprio quello
catturato da Houel del suo noto dipinto.
Stefano Bizantino – ci dice
Salvatore Raccuglia nella sua Storia di Aci - è lo stesso che ci parla, fra le
città scomparse, di Xiphonia[18],
mitica città siciliana su cui sono stati spesi fiumi di inchiostro per la sua
collocazione, e che alcuni hanno individuato negli stessi luoghi di Aterium (sic!); direi, chi troppo vuole
nulla stringe: di entrambe città abbiamo interi volumi di considerazioni, ma
più che scarsissime prove. Ci servono dati storici e non possiamo occuparci
delle leggende. Se poi consideriamo che Trezza dovesse essere marina di Akis[19],
capiamo bene che – lasciando passare il termine – il lotto era già catastato.
Se d’epoca romana non abbiamo alcun
riferimento al toponimo di nostro interesse, dovremmo andare a cercare altro;
ma cosa ci dice la Storia medievale? Poco: un trattato di geografia del XII
secolo scritto da Edrisi[20]
- “Il Libro di Ruggero” - indica Aci Trezza come ǧazâyr lîâǧ, cioè “Isole di Aci”, poi ci dice che Al lîâǧ (e cioè Aci) è terra marittima e di
antica civiltà[21],
nient’altro che possa inerire alla nostra trattazione e che ci possa essere
d’aiuto.
2.5 – La Petra
Tricza
Per la tesi
della risalenza antica, fatta eccezione che per Aterium, non si hanno altri responsi; resta preferita l’ipotesi della Petra
Tricza intesa come scoglio intrecciato, l’unica ad alimentare - al
tempo i cui si scrive - un convincimento pieno e condiviso.
La storia della ricerca del nome
della Trezza si è mostrata dunque nel corso dei secoli più complessa della sua
soluzione, semplice quest’ultima, sotto al naso per tutto il tempo: uno scoglio
nel porto della località alla quale ha dato il nome.
Se è corretta la riflessione,
l’origine va fatta risalire a quando il termine Tricza fosse di uso corrente nel linguaggio comune; ed allora
quando? Il termine Treccia si è evoluto da uno più antico, appunto Trezza
(Dizionario Gabrielli), e l’etimologia va individuata forse dal latino trichia o dal tardo greco τριχία (Trixìa) «corda, fune».
Sono stati i
greci bizantini, oltre un millennio e mezzo fa, a capire la mirabilità della
lava a corde[22]?
E’ bello immaginare la sorpresa dei primi visitatori, che nel vedere la
creazione della natura di questi basalti colonnari a ventaglio[23],
abbiano appellato il luogo come Trixìa, poi Tricza, poi Trezza.
In fine, essendo
noti i ritrovamenti archeologici del De Maria ad Aci Trezza con epigrafi incise
proprio in tardo greco, e non sorprendendo la presenza bizantina a Trezza, si
conviene che è la stessa civiltà – con alta probabilità - ad aver dato il nome alla
Petra da Piscare ed alla nostra
località marinara.
Antonio
Castorina, nel ruolo di Presidente dell’Associazione Culturale “Centro Studi
Acitrezza”, ha dichiarato nel Febbraio del 2014, in occasione di un pubblico
evento denominato “Le Passeggiate della Cultura
– III Incontro”, che la teoria della Petra Tricza è da
intendersi, quella fra tutte, la più valida e condivisa per l’origine del nome
di Aci Trezza.
[1] Una cosa però è certa: ad Acitrezza esisteva una posada
ancora più antica del paese, se si vuole fare risalire la sua fondazione alla
nascita della prima chiesa. Infatti il principe di Campofiorito fondando
l'arcipretura di Acitrezza assegnava 24 onze perpetue alla chiesa di S.Giuseppe
(la prima chiesa) con atto del 19 dicembre 1690 e a garanzia di questa rendita
dava i proventi della posada (che a quel tempo ammontavano a circa 50 onze
annue). Dagli appunti di padre De Maria (parroco dal 1884-1928) sappiamo
che la posada era costituita da due stanze al piano superiore e due sotto, con
un atrio coperto da tettoia e tra una porta e l'altra vi era una nicchia contenente
la tela della Vergine del Carmine illuminata da una lampada ad olio. […] Grazie
sempre al De Maria possiamo individuare con certezza in quale luogo era
stanziata. Il parroco ci dice che fu abbattuta e che sorgeva dove è oggi il
palazzotto detto "la casa Merra" che mantiene ancora tale
denominazione nel linguaggio dei più vecchi. Chiamato così perché la
proprietaria del tempo Domenica Fichera era detta "micia la merra";
la stessa Merra dopo la costruzione del palazzo lo utilizzò a "fondaco",
cioè come una posada, per parecchio tempo. […]. La datazione è quindi incerta,
tuttavia è sempre il De Maria che ci viene in aiuto, infatti dai suoi appunti
sappiamo che nel 1846 nel palazzo del principe di Campofiorito fu costituito
uno stabilimento enologico i cui titolari erano i personaggi anzidetti, ma noi
sappiamo pure che l'ultimo discendente della casa dei Riggio muore nel
1790. Possiamo quindi a buona ragione pensare che in qualche modo a
Quattrini e Del Monte fosse rimasta l'amministrazione dei beni del Principe (di
cui faceva parte la posada) e che probabilmente intorno alla seconda metà del
1800 scompare definitivamente l'antica Posada della Trezza. Oggi però "la
casa merra", forse il più vecchio palazzo di Acitrezza, ci ricorda ancora
l'esistenza di quella antica Posada la cui data di edificazione si perde nella
notte dei tempi… (http://www.acitrezzaonline.it/posada.htm).
[2] A testimoniarlo ci sarebbe
innanzitutto l'argilla di cui è costituito per la maggior parte il territorio
di Acitrezza specialmente nella zona collinare denominata Monte Fano. Ma una
testimonianza maggiore sarebbe, secondo il De Maria, il cosiddetto Ciaramitaro.
Tale luogo non è altro che lo spazio di mare che si estende dalla punta nord
dell'isola Lachea ("CORNERA") fino a Capo Mulini. In questo fondale
secondo le testimonianze scritte di padre De Maria si sono rinvenute parecchie
antichità per lo più di terracotta. I pescatori nel trarre le loro reti, negli
anni Venti, andavano trovando impigliati diversi pezzi di suppellettili. Che
siano dovuti all'affondamento di una nave che li aveva appena caricati o che
siano finiti in mare per altri motivi è tutto da scoprire e dimostrare, è certo
però che oggi non si hanno segnalazioni di nuovi ritrovamenti. Terzo elemento
che fa propendere per l'ipotesi che il nome di Acitrezza deriverebbe dal nome
latino ACIS LATERITIA (laterizi di Aci) è che fino ad alcuni decenni addietro
l'attività di fabbricazione dei laterizi era ancora intensivamente esercitata
nella zona. Le più importanti attività – secondo quanto emerso dalle ricerche -
erano la FORNACE (situata nella zona alta di Monte Fano) e la Carcara (situata
accanto al corso di un vallone a nord di Acitrezza)
(http://www.acitrezzaonline.it/carcara.htm)
[3] Acitrezza e il
suo parroco tra Ottocento e Novecento, Cacciola e Coco, A&B Editore, Catania, 1996 – pag.40
[4] Salvatore Raccuglia, Trezza.
Storia-critica-archeologia, Acireale, Tipografia Umberto I, 1904.
[5]
Jean-Pierre
Louis Laurent Houël (Rouen, 28 giugno 1735 – Parigi, 14 novembre 1813) fu un incisore, pittore e architetto francese, nonché uno dei più
famosi viaggiatori del Grand Tour.
[6] “Scoglio di Basalto nel porto
della Trezza (uno degli scogli dei Ciclopi)” fa parte della RMN – The French
Collection; una stampa è visibile anche presso la Biblioteca Nazionale Marciana
di Venezia.
[7] Saro Bella, Acitrezza nel ‘500,
Agorà XVII – XVIII (a. V - Apr. – Set. 2004) – www.editorialeagora.it
[8] Le leggi di Murphy, Capitolo 3.
[9] Saro Bella, Op. cit. Le
pretenzioni ecclesiastiche catanesi sulla terra della Trezza sono cessate
definitivamente con la collocazione dello scaro nelle pertinenze amministrative
dei Riggio della Città di Aci Sant’Antonio e Filippo, così come stabilito da una
sentenza contenuta in un atto conservato al fondo Trabia, sede Gancia,
dell’Archivio di Stato in Palermo, n. di corda 766 (1634 – 1721) vol. 1.
[11]
Plin. H. N. V, 5,5 – Forbigher, Handb. Der alten Geograph. T. I, p. 879
[12] Haruj (in arabo: هروج ) è un
grande altopiano vulcanico sparso attraverso 45.000 km2 ( 17.000 sq mi ), nel
centro della Libia. Contiene circa 150 vulcani, tra cui numerosi coni di scorie
basaltica e circa 30 piccoli vulcani a scudo, insieme con crateri e colate
laviche .
[13] Virgilio Eneide III, 590 e ss.,
691.
[14] Quasi certamente il
riferimento è a Imilcone II (V - IV
secolo a.C.) (Cartagine, ... – Cartagine, 396 a.C. o 394 a.C.) è stato un generale e suffeta cartaginese. Dopo aver
sostituito Annibale Magone al comando delle truppe cartaginesi nella
terza campagna siciliana, nel 406 a.C. conquistò Agrigento e nel 405 a.C. Gela e Camarina, costringendo Dionisio I, tiranno di Siracusa, alla pace dopo aver
assediato Siracusa. Nel 396 a.C. ritornò in Sicilia
(quarta campagna siciliana di Cartagine) dopo che Dionisio I aveva riaperto le
ostilità nel 397 a.C. Dopo aver
riconquistato le città di Erice e Mozia, distrutta dai Greci
l'anno precedente, marciò lungo la costa settentrionale siciliana, espugnò Messina e avanzò verso
Siracusa, che pose in assedio. Una pestilenza e un contrattacco di Dionisio I
lo costrinsero ad abbandonare l'assedio e tornare a Cartagine con i superstiti.
Tornato in patria, si uccise per la vergogna della sconfitta. Egli fu, nei
fatti, uno dei più grandi grande condottieri punici, il massimo dell'età
classica, quello che riuscì ad espugnare Agrigento, la più grossa
"preda" della storia di Cartagine. Fu il primo a durare in carica
dieci anni, dal 406 a.C. circa al 396 a.C. circa. Il suo
successore fu Magone
II.
[15] Diodoro Siculo, XIV, 59, 3.
[16] SOCIETA’ REALE DI NAPOLI – ATTI
della Reale Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti, Volume IV - Delle
ANTICHE CITTA’ DELLA SICILIA d’ignota situazione – MEMORIA Cominicata a leggere
nella Tornata del 1° dicembre 1868 da NICOLA CORCIA, socio ordinario - § III,
9. Pag. 199 - 200
[17]
Stefano di Bisanzio, conosciuto anche come Stefano Bizantino
(in greco antico
Στέφανος Βυζάντιος; VI
secolo – ...) è stato un geografo
bizantino, autore di un
importante dizionario geografico intitolato Etnica (Ἐθνικά) in 50 o 60 volumi.
[18]
Xiphonia fu una misteriosa città
greca, oggi del tutto
scomparsa che, si ipotizza, fosse situata nel territorio compreso fra Aci
Catena, Acireale ed Aci
Castello. Il mito di Xiphonia ci viene tramandato dai
poeti Teocrito,
Virgilio ed Ovidio. Secondo lo
storico Diodoro Siculo
fu fondata dai Greci
nel VII secolo a.C.
con il nome di Xiphonia dal nome del promontorio e Aci dal nome del
fiume, secondo altri il nome Xiphonia deriverebbe dalle punte aguzze dei
faraglioni di Acitrezza. Inoltre anche la denominazione varia: viene spesso
citata anche come «Xifonia», «Scifonia» o «Sifonia».
[19]
Il nome della città deriva dalla mitologia
greca, in cui vi era posto per una divinità chiamata Aci.
Questi era un pastore di cui si innamorò Galatea,
di cui a sua volta era innamorato il ciclope Polifemo
che schiacciò il rivale sotto un masso. Dal sangue del pastore nacque un fiume
chiamato Akis dai greci, oggi "scomparso" sottoterra. Il
nome della città ha subito dunque una lenta evoluzione: diventò Jachium
sotto i bizantini, Al Yag con
gli arabi
e quindi Aci d'Aquila (o Aquilia) con gli spagnoli.
Nel XIV
secolo la città si stabilì nel territorio attuale (prima
sorgeva nei pressi del castello
di Aci, oggi Aci
Castello) con il nome di Aquilia Vetere prima,
e di Aquilia Nuova in seguito. Il nome Acireale fu attribuito
alla città, secondo la tradizione, da Filippo IV di Spagna
solo nel 1642.
[20] Abū ‘Abd Allāh
Muhammad ibn Muhammad ibn ‘Abd Allah ibn Idrīs al-Sabti detto anche Idrīsī,
Edrisi, El Edrisi, Ibn Idris, Hedrisi o al-Idrīsī
(in arabo: أبو عبد الله محمد بن محمد ابن عبد الله بن إدريس الصقلي; in latino Dreses; Ceuta, 1099 circa – Sicilia, 1165) è stato un geografo e viaggiatore berbero. Fu invitato dal re Ruggero II di
Sicilia a Palermo, dove realizzò una raccolta di carte geografiche note con il titolo Il libro di Ruggero.
Dopo aver viaggiato per tutti i paesi del mar
Mediterraneo, si stabilì a Palermo presso la corte normanna di re Ruggero II, intorno al 1145.
[21] Edrisi, La Sicilia ed il
Mediterraneo nel Libro di Ruggero, AccadeInSicilia Libri – pag. 80 e ss.
[22] Tra le tipologie di lave emesse
nel corso delle eruzioni dell’Etna, quelle “a corde” sono legate all’emissione
di magmi particolarmente fluidi. La loro plasticità è spettacolare; al
solidificarsi si formano veri fiumi di roccia bloccata nel suo fluire. Tuttavia
soltanto una vegetazione specializzata riesce ad insediarsi. Ho riprodotto
licheni sulla viva roccia, muschi suolo sottile e piante annuali che compiono
il loro ciclo vitale in pochi giorni prima che giunga il gran caldo: siamo
sulle colate laviche, il regno dei “praticelli effimeri”. Realizzato presso
Laboratorio Naturalistico Ambientale “Natura e Scienza”, gestito dal CUTGANA
(Centro Universitario per la Tutela e la Gestione degli Ambienti Naturali e
degli Agroecosistemi) dell’Università di Catania
[23] I
basalti colonnari sono maestose formazioni basaltiche la cui presenza evidenzia
nel territorio un'attività eruttiva submarina o la presenza di antichi vulcani
ormai spenti Essi si presentano come colonne a sezione pentagonale o esagonale
e possono essere disposti: 1) verticalmente (a canne d'organo) a
Nord-Est del Faraglione Grande, dove raggiungono una considerevole altezza, nel
porto vecchio di Acitrezza, a Sud dell'isola Lachea. 2) orizzontalmente,
come nel lungomare Scardamiano (ACICASTELLO). 3) a ventaglio, come
quelli the si osservano sul Monte Vamboleri o nel secondo faraglione. I basalti
colonnari sono strettamente collegati ai pillows perché costituiscono il
condotto di alimentazione da cui è salito il magma proveniente dal mantello
attraverso la frattura creata nel fondale marino nel corso dell'eruzione
submarina. La caratteristica fessurazione che presentano è dovuta alla
contrazione cui la lava è soggetta durante il raffreddamento. In cima ai
basalti colonnari, quindi, solitamente, si formano i pillows. Nel territorio di
Acitrezza sulle testate dei basalti colonnari i pillows mancano perché la forza
demolitrice del mare li ha asportati, mentre essi sono presenti nelle zone che
più hanno resistito all'abrasione marina.
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