4.1 – Il mito di Xiphonia
La leggenda vuole (e non posso che definirla altrimenti)
che in epoca siceliota la nostra costa fosse abitata dai sifoniati, abitanti della mitica Xiphonia; città satellite di Katane ma indipendente e colonia di
una città della penisola balcanica. E’ ancora Stefano Bizantino a parlarcene,
nel suo libro dedicato alle città della Sicilia scomparse o d’ignota situazione
(come Aterium).
Xiphonia solletica più l’immaginazione che la curiosità, e ciò
perché non sono state sufficienti le prove tangibili della sua effettiva
attestazione.
Nel 2010, irrorato da un vivace spirito di epico
revanscismo, ho composto otto capitoli inediti (leggibili comunque sul blog
dedicato)[1]
di un romanzo mitologico, verosimile, intitolato omonimamente alla scomparsa
città.
Propongo qui – che la ritengo la sede più appropriata - di
seguito un piacevole estratto dell’introduzione al racconto, che offre una
panoramica storiografica della sua ricerca nel luoghi della Riviera dei
Ciclopi.
E’ certamente un bisogno
innato quello nostro, quello di far risalire le origini della nostra città o
delle nostre famiglie a tempi antichissimi, per consegnare forse quel carattere
nobiliare ai nostri paesi o alle nostre ascendenze; e questa necessità nel
cinquecento si è tramutata purtroppo anche in vere e proprie opere di
falsificazione dei testi o di interpretazione forzata degli storici antichi
allo scopo di sostenere le proprie tesi “su commissione”, contro quelle di
altri realmente fondate: si pensi alla cronaca di Orofone[2].
E’ stato complicato riuscire a
distinguere la leggenda dalla storia, soprattutto alle notizie inerenti i
nostri luoghi e la relativa fondazione, e lunghi ed affannosi sono stati i
dibattiti relativi alla storia di Acireale e sempre meno ci sono stati elementi
di congiunzione tra i critici, gli storici e gli appassionati, dal Vigo al
Raciti, dal Raccuglia al Pulvirenti.
Xiphonia è oggetto di
studio e dibattito da secoli, apparendo e scomparendo alternativamente dai
libri di storia locale in relazione alla penna di chi ne abbia scritto a favore
o contro, e non si è saputo collocarla univocamente più vicina alla storica Akis o alla leggendaria Camesena[3].
Storia o leggenda che sia, Xiphonia ci appassiona e ci trascina
verso quel desiderio comune di vedere la nostra terra abitata da nobili,
aristocratici, filosofi, già millenni orsono, e scenario di quelle imprese e
quelle battaglie che la storia antica di vuole tramandare.
Il siceliota Diodoro Siculo[4]
vuole che Xiphonia sia stata fondata
dai Greci nel VII secolo a.C. presso il un promontorio ed il fiume Aci.
Ciò che è sicuro, confermato
dalla storiografia e dai reperti archeologici, è che la costa orientale della
Sicilia è stata colonizzata nel primo millennio a.C. dai liguri prima coi
fenici, e dai greci dopo, il che ci fa considerare inevitabilmente l’ipotesi
fondata che l’attuale territorio costiero compreso fra Aci Castello ed
Acireale, molto più pianeggiante e rientrato rispetto ad ora, sia stato un
focolaio mercantile e portuale di una certa rilevanza, cresciuto e sviluppato
tra il fiume Achis[5], “che i suoi flutti al mare volge per le
spiagge Etnee”[6]
con acque “fredde e saettanti”, ed il
promontorio del Castello, a quel tempo non più di un isolotto paragonabile ai
faraglioni dei Ciclopi.
I reperti rinvenuti a Capo
Mulini, a Nizzeti (tra Ficarazzi e S. Nicolò), a Reitana ed a Santa Venera al
Pozzo ci confermano l’esistenza di una colonizzazione greca da ricondurre a
quel periodo storico compreso tra il 700 a.C. (Colonizzazione greca in Sicilia)
ed il 264 a.C. (Prima guerra punica), la quale colonia il Raccuglia sulla base
di Strabone[7] e
Scillace vuol identificare con Xiphonia.
Quindi non possiamo escludere
la possibilità di avere avuto una Xiphonia
in questi luoghi e a quell’epoca.
Che poi la denominazione sia
diversa, o perché si vuole forzatamente riconoscere la vera Xiphonia, o meglio il porto xiphonico,
con ‘Iksîfû, oggi attuale Capo
Santa Croce secondo Idrisi[8] o
secondo lo pseudo Scillace, sui quali storici si basò per le sue tesi pure il
tedesco Clouverio, o anche con Agosta
(oggi attuale Augusta) secondo il Di Blasi Gambacorta[9], non
è cogente all’opera qui presentata col nome di “Xiphonia”; anche se, come dice il Raccuglia, sarebbe paradossale
riconoscere veridicità allo pseudo Scillace (chiamato così perché le sue opere
vogliono forzatamente essere attribuite a Scillace, quando sono spurie de facto) o ad Idrisi (vissuto oltre un
millennio dopo ai fatti), più che a Scillace e a Strabone (autori coevi alla
colonizzazione greca in Sicilia).
Nulla ci vieta quindi di immaginare la nostra terra come
la leggendaria Xiphonia, così come
alcuni storici ci hanno voluto mostrare nel tempo; e come “coloro che sono stati trascinati dall’amore per il proprio paese[10]”
mostro una mitica riviera dei Ciclopi
greco-romana, facendola apparire se non vera almeno verosimile sostituendo così
in grande libertà, senza toglier nulla alla storia, cinquantadue anni di buio
(dalla prima alla seconda guerra punica) con quest’opera fantasiosa; buio che
il Raccuglia voleva invece riempire “con
una grande eruzione dell’Etna[11]”
intorno al 230 a.C., la quale avrebbe cancellato Xiphonia e lasciato terreno spianato all’Akis romana, ma della quale
eruzione comunque non abbiamo riscontri geologici.
Chi ci dice quindi che non ci sia stata davvero una città
greca, od un porto così importante, da figurare tra le più importanti colonie
dal VII al II secolo a.C., e poi convertita a città romana?
La teoria che fa spostare il centro di questa colonia,
poi città, da Capo Mulini ad Aci Castello a Santa Maria delle Grazie, ed in
fine, ad Acireale nel corso dei secoli è altro argomento, non inerente alla
nostra trattazione[12].
Fondamentalmente il mio intento è quello di far conoscere
una faccia nuova della nostra terra, quella più antica, la terra che adesso
prende il nome di Aci e frazionata nei nove centri più o meno estesi: Aci Bonaccorsi, Aci Castello, Aci Catena, Aci Platani,
Acireale, Aci S. Filippo, Aci S. Antonio, Aci S. Lucia ed Aci Trezza, anche se la nostra Xiphonia è localizzata tra Capo Mulini,
Aci Trezza, Reitana, Santa Venera al Pozzo e San Nicolò.
Mi piace immaginare che sia dunque questa la città
progenitrice della più conosciuta Akis:
Xiphonia, la quale divenne romana, e questo è ciò che avvenne in quegli
oscuri decenni tra la prima e la seconda guerra punica, il mistero che avvolge
la città di Xiphonia e la sua
scomparsa, e la conseguente nascita di Akis:
ciò ch’è narrato in questo racconto. […]
Il Romanzo Xiphonia è
disponibile in formato digitale e cartaceo richiedendolo dal detto sito
internet dedicato: http://xiphonia-akis.blogspot.it/
4.2 – Cinematografia
Oltre alla celeberrima pellicola
di Visconti, "La Terra Trema -
Episodio del Mare", esistono altri film della prima metà del XX
secolo, meno conosciuti, che hanno avuto come scenario il paesaggio, la costa e
le isole di Acitrezza. Di seguito ne suggerisco quattro:
Capitan Blanco (1914), di Nino
Martoglio. La prima pellicola di cui si abbia traccia storica è quella
del regista, sceneggiatore, scrittore e poeta italiano Nino Martoglio: il
nome del film è "Capitan Blanco". Questo è il primo film della
neonata casa di produzione chiamata "Morgana Film", tratto da un
soggetto (preesistente) dello stesso Martoglio, “'U Paliu” (Il
Palio), film caratterizzato da molte riprese in esterni, nel deserto
libico, in mare e nel paesaggio costiero di Acitrezza, cosa ancora poco usuale
all'epoca dove normalmente si ricostruiva tutto nei teatri di posa.
Interpretato dal grande attore catanese Giovanni Grasso (nel ruolo del Capitano Blanco) e Virginia Balistrieri (sua moglie Marta) e Totò Majorana, la pellicola - sul
genere di “Cavalleria rusticana” - era imperniata sulla figura di
Matteo Blanco, capitano di nave con molte disavventure alle spalle, che
diventato sindaco di Acicastello, per sventare una tresca tra la moglie
Marta e un doganiere del paese, fa esplodere addirittura una mina al passaggio
dei due, uccidendo il rivale e ferendo anche la moglie. La pellicola, oggi
perduta, muta ed in bianco e nero, aveva una durata di 40 minuti, Rapporto
1.33 : 1, Genere drammatico.
Casa mia, donna mia (1923),
di Charles Krauss. La seconda pellicola, anch'essa dispersa, è dell'attore
e regista francese Charles Krauss (Parigi, 1871 – Roma, 1926)
"Casa mia, donna mia". Di questo film si sa soltanto che le riprese
furono girate ad Acitrezza, muto ed in bianco e nero, aveva una durata di
49 minuti, Genere commedia, Rapporto 1.33 : 1, Soggetto Vito Caruso,
Casa di produzione e distribuzione in Italia Lombardo Film, Fotografia Enrico
Pogliese. Attori del film lo stesso Krauss assieme a Maryse Dauvray.
Agguato sul mare - Glauco e Scilla (1956), di Pino Mercanti. Della
terza pellicola, fortunatamente giunta sino a noi, si hanno molte più
informazioni. Durata 85 minuti, Bianco e Nero con il sonoro originale, Genere drammatico, Fotografia Sergio
Pesce e Edmondo Affronti, Sceneggiatura Giuseppe Zucca, Luigi
Emmanuele e Ugo Guerra, Produttore Francesco Alliata per Delta
Film, Casa diproduzione Glomer, Musiche Gioacchino Angelo.
Interpreti: Ettore Manni, Maria Frau, Nadia Gray, Gino
Sinimberghi, Attilio Bossio, Gino Buzzanca, Marina Campo Re,
Ignazio Baidone, Giuseppina Balsamo, Rosolino Bua, Alba
Lori, Grazia Di Marzà, Turi Fighera, Marco Tulli, Rita
Rosa, Isabella Severino, Giovanni Falsaperla, Paul Muller.
Trama:
Glauco, giovane ed audace pescatore siciliano, ama fin dalla fanciullezza
Scilla, figlia di Elia. Ma questi vorrebbe per sua figlia un uomo di condizione
agiata, come ad esempio Leonardo Sarra, proprietario di una cava di pietra.
Glauco rapisce Scilla e la sposa contro il volere del padre, che rompe ogni
rapporto con la figliola. Glauco lavora nella tonnara del barone Staratta
conducendo con la sposa una misera vita. Egli ha sempre sognato l’indipendenza
e la ricchezza, lascia quindi il paese ed entra a far parte di una
organizzazione di contrabbandieri di mare; ma una volta viene sorpreso, arrestato
e condannato a tre mesi di carcere. Scilla è costretta a lavorare per vivere e
la nascita di un bimbo viene ad aumentare le sue difficoltà. Leonardo Sarra le
offre un lavoro meno faticoso nella sua cava, sperando di farla sua; ma il
contegno di Scilla gli dimostra che le sue speranze sono infondate. Nel
frattempo Glauco è uscito di prigione ed ha potuto incassare la sua parte del
ricavato dell’ultimo contrabbando. Egli si presenta al barone Staratta, al
quale aveva in precedenza versato una caparra, e dichiara di voler acquistare
la tonnara; il barone però non e più disposto a vendere. Glauco otterrà alla
fine la tonnara per merito dell’affascinante Circe, l’amica del barone,
innamorata del pescatore. Questi, superata la momentanea infatuazione, lascia
l’incantatrice e si reca alla tonnara, accolto con entusiasmo dai pescatori. Ma
alcune frasi colte al volo gli fanno dubitare della fedeltà di Scilla: egli
schiaffeggia la moglie e va in cerca di Sarra per vendicare il supposto
tradimento. Quando apprende che Scilla è fuggita col bimbo verso le cave, egli
non si cura della tonnara, che viene distrutta dai pescecani, ma corre in cerca
della moglie, che riesce a porre in salvo col bambino, nel momento in cui
stanno per scoppiare le mine. Di questa pellicola si sono particolarmente
apprezzate le riprese aeree della costa di Acitrezza.
Gitarren klingen leise durch die Nacht (1959-1960), di Hans
Deppe. La pellicola (inedita in Italia), il cui nome in italiano è
"Chitarre suonano dolcemente tutta la notte" è una commedia romantica
di Hans Deppe. Girata tra Taormina ed Acitrezza, a colori con sonoro di durata
84 minuti, è stata prodotta da Lux-Film e Sascha-Filmproduktion in
Austria. Trama: il cantautore austriaco Fred Wiskott è di successo nel mondo
dello spettacolo viennese, ed apprezzato innumerevoli show. Proprio quando lui
è finalmente pronto a impegnarsi per una ragazza, scelta nel mondo dello
spettacolo, la ballerina Ninon Lorena, commette un tentativo di suicidio. Fred
va in vacanza fino al porto di pesca siciliana di Taormina, con il suo amico,
il pittore Paulchen 'Paolo' Sperling. Fred conosce immediatamente un mascalzone
locale di nome Roberto, interessato per nulla alle ragazze, ad eccezione di sua
sorella Marina. Tuttavia lei ritiene la carriera di Fred fuori dal grande
mondo: riesce a sedurlo, scombina il suo trio vocale con Salvatore e con un
ammiratore locale Jacopo, mentre Paolo ha convinto a visitare Nannon e farlo
tornare.
Della seconda
metà del XX secolo abbiamo invece:
La
prima notte del dottor Danieli, industriale, col complesso del... giocattolo è un film del 1970 del
regista Giovanni Grimaldi. Il film
ebbe un buon successo al botteghino: nelle classifiche degli incassi dell'epoca
figurava dietro a M*A*S*H di Robert Altman, e davanti a Il giardino dei Finzi Contini di Vittorio De Sica e a Tora! Tora! Tora! di Richard Fleischer. Il film
è stato girato tra Acireale, Pozzillo, Acitrezza e Aci Castello: Carlo Danieli
è un industriale siciliano, donnaiolo
superdotato. Sposa la bella Elena, ma la prima notte di nozze scopre che la
ragazza è ancora vergine. Abituato a frequentare donne di facili costumi, Carlo
resta sconvolto dalla notizia al punto da non riuscire a concludere nulla. Si
confida con un medico, che però ha la chiacchiera facile: in breve la notizia
si diffonde. Anche la madre di Elena, donna Virginia, viene a saperlo dalla
figlia, e raggiunge la coppia per cercare di aiutarli. Carlo prova tutti i
rimedi possibili, infilandosi in situazioni paradossali, infarcite di doppi e
tripli sensi piuttosto grevi. Per cercare di ottenere l'effetto sperato, Carlo
Danieli comincia a consumare una notevole quantità di acqua Pozzillo,
all'epoca imbottigliata nell'omonima frazione di Acireale, considerata
terapeutica per coloro che sono afflitti da problemi di erezione. Tuttavia non
cambia nulla. Sarà donna Virginia a
trovare la soluzione: per aiutare il genero a superare il complesso, pagherà
una prostituta. Carlo ritroverà così la sua virilità e l'onore perduti. Lingua:
Italiano. Durata: 93 minuti. Genere: Commedia, erotico. Soggetto: Aragoste di
Sicilia di Bruno Corbucci e Giovanni Grimaldi. Sceneggiatura di Giovanni
Grimaldi. Casa di Produzione: Princeps Cinematografica – Medusa Distribuzione –
Italian International Film. Personaggi: Lando Buzzanca (Carlo Danieli), Françoise Prévost (Virginia), Katia Christine (Elena), Alfredo Rizzo
(Federico), Carletto Sposito
(Totò), Linda Sini (Concettina,
moglie di Totò), Enzo
Garinei (Chevron), Renato Malavasi (direttore
dell'hotel), Ileana Rigano (Teresa Durini), Ira
Fürstenberg (Laura, moglie di Federico), Saro Urzì (il medico
dell'hotel).
La
seduzione è un film del 1973 diretto da Fernando Di Leo, tratto dal romanzo Graziella
di Ercole Patti e girato ad Acitrezza ed Acireale. Trama: Da molti
anni giornalista in Francia, Giuseppe Laganà
torna nella natia Catania anche sospinto dal
desiderio di rivedere Caterina, sua ex fidanzata che, ora, è vedova e madre
dell'adolescente Graziella. Giuseppe riallaccia la relazione con l'antica
fiamma e prende a frequentarne assiduamente la casa. Ciò consente una vicinanza
con Graziella che, affascinata dal quarantenne, inizia un'assidua opera di
seduzione, divenendone presto l'amante. La scoperta della tresca, indispettisce
la madre che, tuttavia, si rassegnerà a spartire l'uomo con la figlia.
L'entrata in scena di Rosina, un'amica coetanea di Graziella, sconvolge
nuovamente il precario equilibrio. Giuseppe tradisce madre e figlia con la
nuova arrivata e tanto basta perché Caterina impugni la pistola e uccida
l'antico fidanzato. Il ruolo della
ragazza doveva essere interpretato da Ornella
Muti,
poi sostituita all'ultimo istante da Jenny
Tamburi, pare per volere di Lisa
Gastoni. Di Leo ha dichiarato: «Quando vide Ornella la Gastoni ebbe quello che
a Roma si dice lo sturbo. Aveva ragione. Anche cinematograficamente. Bisognava
prendere una ragazza meno sexy di quanto fosse la Muti, altrimenti Maurice
Ronet
sarebbe caduto nel peccato. Mentre giocate così, con la Tamburi, le scene di
seduzione della ragazzina, poco appariscente ma con la forza dell'adolescenza,
funzionarono molto meglio»
Bello di Mamma di Rino Di Silvestro,
anno 1980, genere Commedia, Interpreti: Philippe Leroy, Carmen Scarpitta, Carole André, Tuccio Musumeci. Trama: Mimì, duca di
Trinacria, si trova in grandi difficoltà e non sono, di certo, i familiari
quelli che lo possono aiutare. Il padre, il duca William, si crede uno stallone
e insidia Rosaria, moglie dell'avvocato Ciccio. La duchessa Esmeralda, moglie
di William e madre di Mimì, è ossessionata dall'idea che il futuro capo della
famiglia Trinacria sia impotente e, di conseguenza tenta di farlo innamorare
prima di Nunzia e poi dell'orrenda Filomena, ragazza di buona famiglia.
Maddalena, sorella di Mimì, rimasta vedova, vorrebbe che l'eredità passasse al
figlioletto William jr.
Rosso di Mika Kaurismaki, Interpreti: Kari Väänänen, Martti Syrjä, Leena Harjupatana. Durata: h
1.16 Nazionalità
Finlandia 1985. Genere: giallo. Al cinema nel Maggio 1985 Rosso, un killer
siciliano, viene pagato un milione di lire per uccidere una persona in
Finlandia. Quando arriva lì, una terra così lontana dal suo paese natio, scopre
che si tratta di Maria, la ragazza da lui amata e poi persa. Per tutto il film
Rosso percorre le lande desolate del paese nordico cercando di ritrovare la
donna e incappa in ogni genere di avventura. Durante una rapina in banca, viene
colpito da una pallottola e ferito. Come può ritrovare in queste condizioni il
suo amore perduto? Stanco e smarrito, il solo luogo dove sembra poter
rifugiarsi è un ristorante, che stranamente si chiama "Rosso"...
Nessuno di Francesco Calogero, anno 1992, durata
91’, italiano, genere drammatico, a colori, girato ad Acitrezza. Interpreti:
Roberto De Francesco, Sergio Castellitto, Andrea Prodan, Barbara di Bartolo,
Cristina Donadio, Dario Casalini, etc. Trama: La cornice è un collegio. Negli scontri con i compagni, Nico Storchi,
il protagonista, imbarazzato anche da una curiosa situazione familiare (il suo
insegnante è il convivente di sua madre divorziata) tende ad annullarsi, chiudendosi
in un silenzio quasi maniacale; un silenzio che, almeno interiormente, manterrà
anche quando gli si presenterà l'amore nelle vesti della figlia di primo letto
della seconda moglie di suo padre: non corrisponderà, si astrarrà, un modo
anche per lui come per sua madre, di morire o di diventare "nessuno".
Non solo il grande
schermo, ma anche la televisione si è cimentata nell’allestimento di sceneggiati
con lo sfondo trezzoto. Senza presunzione di completezza si indicano di seguito
i risultati della mia ricerca.
La piovra 9 - Il
patto è la nona miniserie televisiva della più celebre saga della serie italiana, La piovra con protagonisti Raoul Bova ed Anja Kling. Miniserie in due puntate per la regia di Giacomo Battiato, è andata in onda la prima volta in Italia il
9 e il 16 marzo 1998 su Rai1.
Ambientato nella Catania d'inizio anni sessanta, con molte scene girate nella riviera dei Ciclopi,
questo nono capitolo prosegue e conclude le vicende iniziate nell'ottavo e, insieme a questo, può essere
considerato il prequel degli altri capitoli della saga, pur se quasi
completamente distaccato da questi ultimi per trama e personaggi. Tra gli altri
interpreti Tony Sperandeo, Fabrizio Contri, Laura Marinoni, Maurizio
Donandoni, François
Montagut, Franco Castellano, Andrea Lorina, Sebastiano Lo Monaco, Giovanna Rei, Guia Jelo, Giuseppe Zarbo, Massimo Bellinzoni e Claudia
Fiorentini.
La quinta stagione
della fortunata serie TV “Squadra Antimafia
– Palermo Oggi” è stata girata nel 2012
proprio tra Aci Castello ed Aci Trezza, località denominate nella fiction “Comune
di Baia d’Angelo”. Questa è stata trasmessa in prima visione in Italia da Canale 5 dal
Settembre 2013. Cast formato
da: Giulia Michelini, Marco Bocci, Ana
Caterina Morariu, Marco Bocci, Giordano De Plano, Valentina
Carnelutti, Greta Scarano, Ludovico Vitrano, Dino Abbrescia, Andrea Sartoretti e Bruno Torrisi.
Quanto scritto sin qui, circa la
cinematografia ad Aci Trezza non è certamente esaustivo: esistono tante altre
pellicole sconosciute, inedite in Italia, oppure perdute, dimenticate,
distrutte.
Gran parte dei titoli
su indicati sono stati trovati e conservati, se non anche pubblicati (per la
porzione in cui vengono ritratti i luoghi di nostro interesse) sul web.
Non vengono fatti
menzione in questa ricerca i numerosissimi documentari, dell’Istituto Luce,
della Rai, del Nationl Geographic, e delle tante altre emittenti straniere che
sin dal secondo dopoguerra hanno raccontato Aci Trezza, per tutti gli
importanti temi che la connotano: l’Odissea di Omero, le Metamorfosi di Ovidio,
l’Eneide di Virgilio, i Malavoglia di Giovanni Verga, l’Arcipelago dei Ciclopi –
Area Marina Protetta, i basalti
colonnari – pillows lave, U pisci a Mari, la Festa di San Giovani, etc.
4.3 – La
marineria trezzota[13]
La
risalente tradizione, tipica del meridione d’Italia, della pittura dei mezzi di
trasporto da lavoro, ha conservato nella marineria trezzota (nell’insieme delle
barche della località marittima di Acitrezza – CT) ampia rappresentazione di
questo fenomeno, che ha reso fama in tutto il mondo del folklore e della
cultura della terra di Sicilia.
Nella cultura
agricola esiste la tradizione (non più risalente di oltre 200 o 300 anni) della
pittura dei calesse, nel noto c.d. “carretto siciliano”, evoluta in taluni casi
nella pittura dei mezzi di trasporto più recenti a motore come l’Ape Piaggio.
Ma la
funzione apotropaica, folkloristica, votiva, della pittura dei mezzi di
trasporto da lavoro in questo ambiente ha con certezza origine nella tradizione
della pesca: anche in Malta (il cui arcipelago è stato frequentato dai trezzoti
sin dal XVII sec. ca.) è presente questa tradizione nel c.d. Luzzu (in italiano
Luzzo, plurale Luzzi).
Questo tipo
di imbarcazione tradizionale (presente nel Mediterraneo) ha vivaci colori
ricorrendo spessissimo all’uso del verde e blu, ma anche rosso e giallo (per
nascondere il nero della pece della chiglia). Sulla prua si rinviene la pittura
di due occhi (uno per lato) che, si suppone, siano una moderna riproposizione
di una simile decorazione che compariva sulle navi fenicie e greche, ipotesi a
sostegno della tesi di risalenza millenaria della tradizione artistica popolare
in esame.
Di solito ci
si riferisce a questi occhi chiamandoli occhi di Osiride[14]
o di Horus, a testimonianza del passato religioso-orientale della Sicilia.
L’imbarcazione
siffatta è di antica origine, potrebbe risalire ai tempi dei fenici e la sua
sopravvivenza è dovuta alle sue qualità di resistenza e stabilità anche in
condizioni di tempo cattivo. L'impiego principale al quale sono destinati è
ancora la pesca anche se alcuni esemplari sono stati trasformati, per turismo,
in trasporto passeggeri.[15]
I temi ricorrenti delle decorazioni di queste barche sono floreali, religiose
(il patrono di Acitrezza è San Giovanni Battista), mitologiche (come sirene
donne o uomini, rappresentanti la leggenda locale di “Colapesce”)[16],
nonché attinenti al mondo della superstizione (rosse corna, asso di bastoni,
etc.) con funzione scaramantica; non mancano temi zoologi, con riferimento alla
caccia ed alla pesca (per augurare buona fortuna).Un importante documentario
divulgativo prodotto da Astra Cinematografica negli anni ‘60, proprio con
oggetto Acitrezza, ha espresso, con riferimento a questa forma d’arte: “In
queste scritte c’è lo spirito ed un po’ del fatalismo di questi marinai.”
Si rinvengono sui fianchi delle imbarcazioni oltre ai nomi anche frasi del tipo
“Mira che linda”, “Lasciatemi passare che bella come una
rondinella” oppure “L’uomo propone e Dio dispone”, ed altre
espressioni del presente tipo. In tempi passati il l’imbarcazione in oggetto
era armato con una vela, mentre ai giorni nostri quasi tutte sono dotate di un
motore diesel entrobordo.
Luchino
Visconti, nella pellicola “La Terra Trema – Episodio del Mare” ha ben
rappresentato l’uso della vela nelle imbarcazioni di Acitrezza adibite alla
pesca. Il celebre suddetto film è ambientato negli anni ’40, e riproduce di
continuo l’importanza di questo mezzo di trasporto in luogo di unico strumento
di sussistenza della famiglia del secolo XX. Visconti costruisce, con estrema
abilità e sulla base di uno schema unanimista, la dottrina formulata da Jules
Romains in base alla quale ogni aggregazione di individui possiede un'anima
collettiva, una specie di melodramma popolare di raffinata ricerca plastica[17].
E questo
melodramma popolare, questa esasperata fatalità si palesa nella cura che si ha
della propria barca, con le sue decorazioni e con la sua vela. La fatalità,
leit motiv dell’arte decorativa delle barche di Acitrezza, non poteva non
essere colta dallo scrittore verista Giovanni Verga, a cui Visconti s’ispirò. L’autore
di Vizzini anche così si esprime, fra le tante altre descrizioni, con
riferimento al mezzo principale di lavoro di questa località marinara: “Le
barche del villaggio erano tirate sulla spiaggia, e bene ammarate alle grosse
pietre sotto il lavatoio; perciò i monelli si divertivano a vociare a fischiare
quando si vedeva passare in lontananza qualche vela sbrindellata, in mezzo al
vento e alla nebbia, che pareva ci avesse il diavolo in poppa; le donne invece
si facevano la croce, quasi vedessero cogli occhi la povera gente che vi era
dentro. […] Però, come giunsero sul lido, davanti al mare nero, dove si
specchiavano le stelle, e che russava lento sul greto, e si vedevano qua e là
le lanterne delle altre barche, anche ‘Ntoni si sentì allargare il cuore. […]
La Provvidenza si avventurava spesso al largo, così vecchia e rattoppata
com’era, per amore di quel po’ di pesca, ora che nel paese c’erano tante barche
che spazzavano il mare colla scopa. […]
Anche in
quei giorni in cui le nuvole erano basse, verso Agnone, e l’orizzonte tutto
irto di punte nere al levante, si vedeva sempre la vela della Provvidenza come
un fazzoletto da naso, lontano lontano nel mare color di piombo, e ognuno
diceva che quelli di padron ‘Ntoni andavano a cercarsi i guai col candeliere.
[…] E la sera all’imbrunire, come la Provvidenza, colla pancia piena di
grazia di Dio, tornava a casa, che la vela si gonfiava come la gonnella di
donna Rosolina, e i lumi delle case ammiccavano ad uno ad uno dietro i
Fariglioni neri […] Si udiva il vento sibilare nella vela della Provvidenza e
la fune che suonava come una corda di chitarra. All’improvviso il vento si mise
a fischiare al pari della macchina della ferrovia, quando esce dal buco del
monte, sopra Trezza, e arrivò un’ondata che non si era vista da dove fosse
venuta, la quale fece scricchiolare la Provvidenza come un sacco di noci, e la
buttò in aria. […]
C’era
stata una passata di acciughe come mai se n’erano viste; una ricchezza per tutto
il paese; le barche tornavano cariche, colla gente che cantava e sventolava i
berretti da lontano, per far segno alle donne che aspettavano coi bambini in
collo. […] Tornò a guardare il mare, che s’era fatto amaranto, tutto seminato
di barche che avevano cominciato la loro giornata anche loro […]."[18]
L’attenta
osservazione del fenomeno non è mancata neppure ai grandi pittori e ricercatori
del Settecento, che, passando per Acitrezza, non mancarono di lasciare un
ricordo a testimonianza di questa caratteristica della terra della riviera dei
ciclopi. Si annoverano Hackert[19],
Houel, Saint-Non[20], e
tanti altri, i cui dipinti e le cui opere oggi sono conservati nei più
importanti musei e biblioteche di tutto il mondo.
L’importanza
della marineria trezzota è dovuta anche al passato commerciale del porto di
Trezza: fu proprio grazie ai Principi Riggio la costruzione e la fruizione di
un importante molo di carico e scarico merci (chiamato Carricatore, come quello
di Catania e Messina), in uso fino agli inizi dell’800, quando la cultura
agricola dell’entroterra passò dalla coltivazione della canna da zucchero ed
alla macerazione dei lupini e del lino a quella dei giardini d’agrumi.[21]
Fu proprio in quel periodo che iniziarono i rapporti commerciali e
marinari tra Acitrezza e le isole di Malta, fu probabilmente quello il periodo
in cui si intensificò lo scambio culturale nell’arte della pittura delle barche
e dei temi utilizzati per l’arricchimento estetico dei fianchi e dell’interno
delle imbarcazioni.
La tradizione
barcaiola è giunta sino ad oggi grazie anche alla conservazione delle antiche
tecniche di costruzione, nonché di decorazione, nel cantiere ancora oggi
presente sulla baia di Acitrezza di titolarità dei Rodolico. Al riguardo ci
lascia una importante testimonianza don Alfio Coco, arciprete parroco della
Parrocchia San Giovanni Battista di Acitrezza nelle sue memorie: “Sebastiano Rodolico. Era di origine
castellese, ma residente in Acitrezza, Uomo intelligente e onesto, dal viso
abbronzato, dall’atteggiamento sereno e pensoso, bravo artigiano, costruttore
di barche, passato alla storia col nome “don Sebastiano u vaccaloru”.
Egli seppe col suo lavoro portare avanti la numerosa
famiglia. Era molto stimato da tutti e se ne apprezzava l’esattezza del lavoro.
Crebbero man mano i figli i quali appresero con passione l’arte paterna e la
incrementarono. Se oggi Acitrezza può vantare un bel cantiere di pescherecci lo
si deve alla laboriosità e alla tenacia di quell’uomo, Sebastiano Rodolico, che
seppe trasmettere ai figli lo spirito di sacrificio e l’amore al lavoro.”[22]
In conclusione, da ultimo ma non meno importante, vi è la valorizzazione
e la testimonianza artistica del pittore Roberto Rimini, che si cimentò con
amore e dovizia di particolari nella rappresentazione figurativa delle barche e
della marineria trezzota.
Rimini visse
per molti anni, fino al giorno della morte (avvenuto proprio ad Acitrezza nel
1971) nella località marinara, ed ebbe modo di raffigurare, nel suo elogiato
gioco di luci ed ombre, e nella sua straordinaria capacità nell’uso dei colori,
la tradizione barcaiola, le imbarcazioni, la costruzione delle stesse, ed il
lavoro della pesca.
Ne sono
esempi, non solo le numerose marine, alle quali l’autore era affezionato, e per
le quali il suo nome passò alla storia dell’arte, ma anche le singole opere con
oggetto l’imbarcazione tipica trezzota. Sono celebri le opere: “Acitrezza, il porto”, “Piazza di
Acitrezza”, “Barca in costruzione”, “Fasciame”, “Porto di Acitrezza”, “Cantiere
sulla riva”, etc. Eccone una descrizione biografica: “Roberto Rimini è l'artista precursore e coraggioso, voce discorde di
un'epoca dove tutti sembravano uniformarsi al cliché del vero come miserevole,
triste, 'basso'. Come se la fatica del lavoro, l'asprezza della natura,
l'Umanità, non potessero essere ritratte anche in modo dignitoso, epico, 'alto'”[23].
Chi possiede un'opera di Rimini la custodisce gelosamente così come si
custodisce ciò che dà valore ai nostri sentimenti, alla nostra anima. Rimini
palesa, nella copiosa raccolta delle sue opere, l'impegno per la ricerca
dell'anima 'popolare', trasmessa e comunicata nelle sue dinamiche di vita, nel
linguaggio figurato più persuasivo ed emotivo. E’ un artista che ha fatto la
storia della terra di Trezza, che ha arricchito la nostra memoria, ha dato luce
ai nostri paesaggi, ha dato sentimento ai nostri luoghi, al nostro mare, alle
nostre campagne, nobiltà al lavoro, e valore all'umiltà del popolo. La
protagonista di larga parte delle sue opere è proprio la marineria di Trezza,
dai paesaggi agli uomini alle barche.
Se Rimini,
Hackert, Houel, Saint-Non, Visconti, Verga, hanno ravveduto un che di speciale
e caratteristico nelle barche di Acitrezza, nelle loro decorazioni, nei loro
colori, nelle sue vele e nell’atteggiamento della popolazione nei confronti
della loro cura, non è difficile comprenderne la centralità e l’importanza nel
nostro patrimonio culturale ed artistico.
[1]
http://xiphonia-akis.blogspot.it/
[2]
Storico dell’XI secolo del quale si dubita l’esistenza. La cronaca a lui
attribuita si ritiene, compatibilmente, opera spuria e non accreditabile.
[3]
Leggendaria città fondata da Cam,
figlio di Noè, e dalla moglie Sena, nell’attuale territorio delle Aci,
poi distrutta a seguito di un cataclisma naturale e rifondata col nome di Xiphonia.
[4]
Diodoro Siculo (in greco antico
Διόδωρος, traslitterato in Diódōros; Agira
, antica Agyrion, 90 a.C. circa – 27
a.C. circa) è stato uno storico
siceliota,
autore di una monumentale storia universale, la Bibliotheca historica.
[5]
Denominazione fenicia del fiume Aci.
[6]
Silio Italico, De Bello Punico, Lib.
XIII
[8]
Geografo e viaggiatore berbero invitato dal re Ruggero II di Sicilia a Palermo, dove realizzò una raccolta di carte
geografiche note con il titolo Il libro di Ruggero.
[9]
Abate cassinese e storiografo regio di Ferdinando II Re delle due Sicilie.
[10]
Filippo Pulvirenti, Il vero Aci antico, cit. pag .52
[11]
Raccuglia, Storia di Aci dalle origini al 1528. cit., pag. 136
[12]
Si consiglia, per un approfondimento: Il
vero Aci Antico – Filippo Pulvirenti
[13] Di seguito un articolo del 18
Luglio 2014 sul tema della marineria trezzota: “L'Assessorato regionale dei Beni Culturali e dell'Identità
siciliana ha comunicato al Presidente dell'associazione
culturale Centro Studi Acitrezza e alla Soprintendenza di
Catania che la Commissione Eredità Immateriali, nella seduta dello
scorso 22 maggio, ha inserito le "barche in legno trezzote"
nel nuovo Registro delle Eredità Immateriali della Sicilia. A
febbraio il CSA aveva inviato una nota a Palermo per richiedere l'inserimento
delle barche nel registro con tanto di documentazione relativa ai mastri
d'ascia, al cantiere peschereccio Rodolico, uno studio sulla navigazione nel
mare dei Ciclopi e sulla vela latina e infine uno studio sull'uso delle barche
a legno trezzote dall'antichità fino ai giorni nostri. Le barche in legno
trezzote vanno ad aggiungersi alle altre due manifestazioni di Acitrezza
inserite nel registro regionale: la pantomima "U pisci a mari"
inserita sempre grazie all'impegno del CSA e la festa di San Giovanni Battista
grazie all'interesse della Commissione dei festeggiamenti in onore del Santo
Patrono di Acitrezza. Alla luce di questo risultato, gli approdi storici di
Acitrezza assumono un valore cruciale per la valorizzazione del territorio e
delle arti marinare. Antonio Castorina, Presidente del CSA,
esprime così la sua soddisfazione: "L'inserimento della tradizionali
barche a legno trezzote nel REIS è una vittoria di tutti i trezzoti che amano
la storia e le tradizioni di questo luogo. Lo sviluppo di Acitrezza deve
passare soprattutto da azioni di tutela dell'immenso patrimonio che abbiamo.
Ringrazio vivamente Nuccio Rodolico, Sebastiano D'Ambra e Graziano D'Urso per
averci dato una mano nell'espletare l'iter e fare in modo che le nostre barche
in legno adesso sono inserite in questo importante circuito".
[14]
Osiride (anche Usiride, Osiris od Osiri o, in egizio,
Asar o Ausar, una delle possibili etimologie è "vegetazione") è il
dio della morte e dell’oltretomba. È una delle divinità dell’Enneade
e il suo culto fu uno dei maggiori dell’antico
Egitto, dove le sue statue decoravano moltissimi cortili dei
templi. Secondo la tradizione era originario della città di Busiris e fu sepolto nella
città di Abido, centro del suo
culto celebrato con riti e processioni, dove il simulacro della divinità veniva
trasportato con la neshmet.
[15]
http://it.wikipedia.org/wiki/Luzzu
[16]
La leggenda di Colapesce è una leggenda
diffusa nell'Italia meridionale con molte varianti, le cui prime attestazioni
risalgono al XII secolo.
[17]
http://it.wikipedia.org/wiki/La_terra_trema
[18] Giovanni Verga, I Malavoglia –
Capp. III, VI, X, XV.
[19] Jakob Philipp Hackert (Prenzlau,
15
settembre 1737
– San
Pietro di Careggi, 28
aprile 1807) è stato un pittore
tedesco
che lavorò molto in Italia.
[20]
Jean-Claude Richard de Saint-Non, meglio noto come Abate di Saint-Non,
o Abbé de Saint-Non (Parigi, 1727
– 25
novembre 1791),
è stato un incisore, disegnatore,
umanista,
nonché archeologo, mecenate
e viaggiatore
francese.
[21] Saro Bella, Acque, ruote e mulini
nella terra di Aci.
[22] Alfio Coco, Cinquant’anni ad
Acitrezza.
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